Redazione Open Innovation

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Regione Lombardia

Pubblicato il 08/09/2020

Pubblicata il 08/09/2020 alle 11:23
Ultimo aggiornamento: 08/09/2020 alle 14:55
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08 settembre 2020

Intervista alla preside dell’ITE di Busto Arsizio. L’innovazione chiave della ripresa post lockdown

Conto alla rovescia per la riapertura delle scuole dopo il lockdown, di fatto una della maggori sfide per il sistema Paese. E non solo perché coinvolge 8 milioni di studenti, quasi due milioni di docenti e personale ATA, le loro famiglie.

Gli ostacoli sono infatti obiettivi, non tutti peraltro legati alle precauzioni imposte dalla pandemia di Covid-19. Alcune regioni segnalano ad esempio una grave carenza di insegnanti, a cui si aggiungono le difficoltà di gestione legate alle misure di contrasto al Coronavirus. E così moltissime scuole sono ancora alle prese con l’ultima ridefinizione degli spazi per il rispetto del distanzamento, o temono che i banchi monoposto commissionati a livello nazionale arrivino a lezioni inoltrate, mentre i genitori - a cui tra l’altro è affidato il compito di controllare ogni mattina la temperatura dei propri figli prima dell’ingresso a scuola - si chiedono cosa accadrà se un compagno di classe dovesse risultare positivo al virus.

In questo clima, c’è chi è già tornato sui banchi: il 7 settembre gli studenti di Bolzano e in Lombardia quelli di nidi e materne, mentre la maggior parte delle scuole riaprirà il 14 settembre e diverse regioni - in particolare al Sud - hanno preferito rinviare a fine mese.

Ci sono però delle eccezioni. Una è quella dell’Istituto Tecnico Economico di Busto Arsizio: qui sono stati già accolti alcuni dei 2 mila studenti che formano quella “scuola di comunità” che è il “Tosi”. Il segreto di tanta efficienza? Ce n’è più d’uno, come spiega la dirigente Amanda Ferrario, già nella task force del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca per ripensare la scuola post pandemia. Ma forse quello che ben riassume le potenzialità del Tosi è la spinta all’innovazione che questo istituto persegue da tempo, “per preparere - come viene ricordato sul sito web della scuola - a un mondo senza confini”.

Professoressa, in mezzo a tante incertezze il Tosi è ripartito prima degli altri: come avete fatto?

“Ci siamo mossi per tempo, quando il Ministero a giugno ha pubblicato le prime linee guida per la riapertura abbiamo subito affrontato il nodo degli spazi. Le nostre classi sono in genere di 25-26 alunni, a regime si arriva anche a 31. In base alla normativa del CTS però non potremo ospitarne più di 24 anche nelle aule più grandi, senza contare le altre. Per questo abbiamo deciso di abbattere alcuni muri, per sostituirli con pareti mobili, insonorizzate e ignifughe grazie a cui potremo modulare le classi in modo flessibile.

Quando ai banchi con rotelle, noi li avevamo già scelti, perché ci consentivano di lavorare per gruppi e in coworking superando il modello tradizionale di lezione frontale. Quello che ci interessa infatti non è solo che gli alunni vengano a scuola, ma portare avanti con loro un modello didattico innovativo, centrato sulle competenze e non solo su conoscenze. Non lo facciamo da oggi: il Tosi ad esempio ha introdotto una pratica di molto diffusa nelle scuole estere e cioé il debate, che abitua gli studenti ad argomentare le proprie posizioni, a selezionare sul web le fonti a cui affidarsi, a fare collegamenti tra materie diverse”.

Altra peculiarità è che la didattica a distanza (DAD) era già parte integrante della vostra offerta formativa, non è così?

“È vero. E infatti le piattaforme tecnologiche a cui abbiamo fatto ricorso durante il lockdown da noi eranogià in uso da tempo. Questo ci ha permesso di non perdere neanche un giorno di lezione: la nostra scuola non si è mai fermata, grazie alla lezioni a distanza ha mantenuto un orario regolare e completo. Un risultato reso possibile dalle nostre scete precedenti, improntante a un’idea di didattica integrata in cui le piattaforme per fare lezione online non rappresentano solo un’innovazione tecnologica, ma ci permettono di differenziare e personalizzare il percorso educativo a partire dalle caratteristiche del singolo studente. È questa l’idea forte alla base di quella grande comunità che è il Tosi: una scuola che pur essendo nei fatti decentrata ha saputo diventare un polo di eccellenza e di grande attrattività, con un corpo docente motivato e moltissime rchieste di iscrizione. Proprio in questi giorni, per dire, abbiamo avviato per i nostri studenti di matematica e fisica una partnership - virtuale, vista la pandemia - con il prestigioso MIT di Boston”.

Durante il lockdown le famiglie italiane hanno dovuto contendersi i device per DAD e Smart Working, oltre magari a sperimentare problemi di connettività. Qual è stata l’esperienza delle vostre 2 mila famiglie?

“Anche in questo caso non abbiamo avuto problemi perché al Tosi già da tempo ogni studente è dotato di un proprio tablet: lo offriamo gratuitamente in comodato d’uso con possibilità di riscatto al quinto anno. La nostra scuola insomma era già pienamente digitale. Questo ci permetterà di tenere le lezioni del prossimo anno in parte in presenza e in parte con la DAD, come previsto per gli istituti superiori, senza particolari difficoltà. Pensiamo ad esempio che saranno a distanza gli insegnamenti di lingua - il Tosi è tra i pochi istituti superiori in Italia a offrire cinese e russo come insegnamenti curricolari, e i nostri studenti escono da qui conoscendo tre lingue straniere - che si prestano in modo particolare a un percorso personalizzato. La nostra scelta sarà comunque quella di mantenere le classi unite: i compagni seguiranno le lezioni o tutti in presenza o tutti da remoto, ma sempre insieme.

Certo, l’esperienza del lockdown ha lasciato il segno. Noi abbiamo cercato di trasformarla in un’opportunità e in uno stimolo forte di innovazione, per quanto possibile: anche il nostro personale ha usufruito in parte dello Smart Working, ma soprattutto abbiamo scelto di ristrutturare e potenziare l’intera nostra infrastruttura di rete. Anche i nostri studenti hanno fatto la loro parte: sono stati alcuni di loro a sviluppare un’app, che da settembre permetterà di ordinare dallo smartphone il menù scelto alla mensa della scuola per poi riceverlo in classe al proprio banco. Mentre altri hanno passato l’estate a mettere a punto un’applicazione per lo studio dell’andamento economico dei territori: una startup gliel’ha già opzionata, ritenendola moto interessante”.

Manutenzione e innovazioni costano, il problema per le scuole è spesso quello di trovare fondi: come avete pagato queste spese straordinarie, in passato e adesso?

“Per banchi mobili e abbattimento delle pareti abbiamo usato subito il fondo di funzionamento, che il MIUR vista l’emergenza Covid ha aumentato in base al numero degli iscritti nonché anticipato da settembre a giugno. Allo stesso tempo, abbiamo coinvolto tutti i soggetti interessati sul terrritorio: la Provincia, che ha sostenuto le cospicue spese per le nuove pareti mobili, ma anche la nostra Associazione di ex alunni e sostenitori (che ha sede all’interno dell’Istituto, ndr). Una realtà incredibile, se si pensa che conta 9 mila aderenti che partecipano molto attivamente alle nostre iniziative: sono stati loro ad esempio a finanziare l’acquisto dei tablet. Facendo un passo indietro, abbiamo partecipato a tutti i bandi PON disponibili sul digitale: i nostri progetti, di cui mi occupo in prima persona, sono stati sempre selezionati. Non sono i fondi insomma a fare la differenza”.

Questo ci dice che innovare per tempo aiuta anche a fronteggiare meglio eventuali emergenze. Ma non è un’utopia, per la maggior parte delle scuole italiane?

“La risposta per me sta nella formazione permanente del personale: questa è la vera chiave di volta per una scuola che sappia parlare ai ragazzi, sappia usare le tecnologie che fanno parte della loro quotidianità quando escono dall’aula, soprattutto una scuola che sappia trasmettere loro capacità e competenze che li aiuteranno un domani a svolgere anche quei lavori che oggi ancora non esistono. Ecco perchè, tra l’altro, i nostri spazi sono aperti tutti i giorni dalle 7 alle 23, anche il sabato e la domenica, per attività extrascolastiche che riteniamo fondamentali: vogliamo che i ragazzi vivano una scuola accogliente, in cui possano apprendere anche in modo informale grazie a esperienze diverse.

Tornando alla formazione continuativa, credo che sia una parte integrante della propria etica professionale: lei si affiderebbe ad esempio a un medico che non faccia formazione nel tempo? Sicuramente no, e così dovrebbe essere per gli insegnanti.

Dunque, se potessi esprimere un desiderio per il futuro dell’istruzione post lockdown in Italia è questo: si punti sulla formazione obbligatoria permanente e sulla selezione del personale, grazie a concorsi frequenti e selettivi, superando l’idea che servano soprattutto a stabilizzare il personale”.

 

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