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08/09/2017

Premio “Lombardia è Ricerca”, Sberveglieri: “Rizzolatti ottima scelta. E importanti le ricadute sul territorio”

dall'organizzazione Regione Lombardia

Redazione Open Innovation

Redazione Open Innovation

Regione Lombardia

Pioniere degli spin off universitari, Giorgio Sberveglieri è uno dei 14 top scientists italiani, chiamati da Regione Lombardia (sulla base del loro H-Index) a selezionare il vincitore il nuovo premio da 1 milione di euro “Lombardia è ricerca”. Docente del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università degli Studi di Brescia, Sberveglieri è un’autorità indiscussa quando si parla di ‘naso elettronico’, tecnologia che imita il funzionamento dell’organo olfattivo umano grazie a sensori che riconoscono l’ “impronta olfattiva” di alimenti, piuttosto che di materiali pericolosi come gli esplosivi, o di patologie che così possono essere diagnosticate in modo precoce.

Professore, il suo laboratorio Sensor arrivò già nel 1988, ora dirige un altro spin off, “Nasys”: di che cosa si occupa?
“Sviluppiamo nuovi tipi di sensori chimici molto innovativi – e collegati poi in cloud al ‘cervello elettronico’ che ne può analizzare i dati a distanza - per il ‘naso elettronico’, da applicare nel controllo di qualità degli alimenti per determinare se questa sia buona, discreta o se ci sia una contaminazione organolettica e microbiologica. Una eventualità, quest’ultima, da non sottovalutare per l’industria alimentare, se si pensa che attualmente negli Stati Uniti la prima causa di ospedalizzazione è proprio da intossicazione alimentare. Dunque i nostri sensori vanno a caccia di alimenti scaduti, quando non contaminati”.

I casi di cibi contaminati sono in effetti frequenti ormai, vedi l’allarme sulle uova con il Fibronil...
“Ci sono tutta una serie di contaminazioni che senza un dispositivo adeguato non possono essere individuate se non quando il prodotto è già commercializzato, con rischi per la salute e ovviamente danni economici per le aziende che devono ritirare intere partite. Noi siamo gli unici in grado di produrre questo dispositivo, che permette finalmente di attuare controlli efficaci lungo la linea di produzione e di individuare muffe o batteri. Lo abbiamo testato direttamente negli stabilimenti delle passate di pomodoro della Casalasco di Cremona. La possibilità di intervenire prima della messa in commercio è fondamentale, a livello di costi. Senza contare che no si può escludere che le non provvedano a ritirare la partita di prodotti compromessi, pur di evitare la cattiva pubblicità che ne deriverebbe. Il tutto a danno dei consumatori”.

Che rapporto avete con l’università?
“Siamo nati lo scorso anno e ora stiamo arrivando sul mercato, con buone chance. Io del resto ho sempre fatto una ricerca orientata all’ingresso sul mercato, e sono ormai vent’anni, grazie soprattutto a fondi europei e al ruolo di grandi aziende, purtroppo non italiane. Sono appena stato a Parigi per un convegno internazionale proprio sui sensori e sono stato contattato da una realtà cinese che vorrebbe “strapparci” a Brescia e portarci là… Eppure noi vorremmo crescere in Italia, e contribuire allo sviluppo e al controllo di qualità della sua industria agroalimentare, spero che ci siano le condizioni. Del resto, ora le applicazioni di queste ricerche cominciano a essere utilizzate anche nel nostro Paese. Il quadro è tutto diverso da quello del mio primo spin off, è cambiato tutto, anche l’università finalmente: la presenza di uno spin off fa salire un ateneo nel ranking nazionale e dunque permette di ottenere più fondi, la prospettiva si è rovesciata. Eppure ancora oggi qualche collega storce il naso, ti vede come ‘quello che faceva business’: ma lo spin off deve fare business. E invece, c’è chi lo percepisce come un’iniziativa che snatura il ruolo universitario. Insomma non siamo ancora ai livelli delle università europee e Usa, dove gli spin off sono anzi considerati benissimo visto che portano lavoro all’esterno, sul territorio. Nella mia facoltà la situazione è più positiva, e comunque l’università di Brescia ci facilita molto, permettendo al laboratorio di rimanere al suo interno e a me di lavorare ufficialmente allo spin off per un paio di mesi all’anno”.

E per quel che riguarda i controlli sugli alimenti, a che punto siamo in Italia?
“Quanto alla tecnologia siamo all’avanguardia, non c’è dubbio. Purtroppo abbiamo carenza di strutture e di risorse: per cambiare passo e andare con più forza sul mercato ci vorrebbero grandi finanziatori, penso a grandi aziende che scommettano su questo fronte. Ma a oggi mancano. Anche perché finora le imprese italiane non hanno riservato molta attenzione all’utilizzo di fondi europei, per ottenere i quali si devono presentare progetti da mettere a confronto con altri: fino a dieci-quindici anni fa le nostre aziende erano ‘chiuse’, mentre tedeschi francesi e spagnoli sono da tempo molto più aperti, pronti ad andare a discutere con altri. Noi lombardi non facevamo eccezione purtroppo, non accettavamo di metterci in gioco. Oggi la situazione è cambiata, anche a causa della crisi, la nostra richiesta di fondi europei è aumentata ma lo è anche la competizione tra progetti, dunque ottenere fondi risulta ben più difficile”.

Questo premio e la Giornata della ricerca istituita da Regione Lombardia l’8 novembre che segnale possono lanciare?
“Sicuramente portano l’attenzione sulla ricerca e sulle sue ricadute anche occupazionali, ben al di là dei confini lombardi, e questo è molto positivo. Occorre sempre più andare nella direzione tracciata da Stati Uniti, Germania, Giappone che per la ricerca investe ad esempio ben il 3% del proprio Pil, il doppio della percentuale italiana (per l’assessore regionale a Università, Ricerca e Open Innovation Luca Del Gobbo l’obiettivo della giunta lombarda è quello di arrivare a investire in ricerca e innovazione proprio il 3% del Pil regionale entro la legislatura, ndr); altri paesi arrivano anche al 70% in più di noi. Informare il pubblico dell’importanza della ricerca è quindi indispensabile. Da questo punto di vista, il premio è perfetto: se vogliamo uscire davvero da questa crisi da cui stiamo emergendo con fatica l’innovazione è fondamentale. Ricordo poi che la ricerca significa nuovi posti di lavoro: il mio spin off sta portando in azienda tre persone che in università non avrebbero una sistemazione stabile. Uno degli obiettivi degli spin off è permetterci di tenere qui i nostri alunni migliori, dato che negli atenei le posizioni nuove sono pochissime. Anche questo dunque è un ostacolo da superare. Tre miei allievi, bravissimi, dopo sei anni di lavoro con me si sono spostati uno in Israele e due in Svezia, con posizioni permanenti nell’università svedese. Sono cervelli persi, per noi: non è un grande investimento formare persone fino al dottorato e poi, proprio quando arriverebbe il momento di fare brevetti e innovazione, vederle fuggire dall’italia per mancanza di opportunità verso Paesi dove li apprezzano. Il danno che ne deriva per il nostro sviluppo è enorme”.

Veniamo al vincitore della prima edizione del premio, Giacomo Rizzolatti: come siete arrivati al suo nome e come è stato confrontarsi con scienziati di altri settori?
“Si tratta di un’ottima scelta, largamente condivisa dalla giuria. Certo il nostro compito non è stato facile, noi giurati avevamo tutti background e competenze abbastanza diversi ma alla fine questa si è rivelata una strada vincente, anzi l’unico modo per poter garantire uno sguardo ampio sulle diverse branche delle Scienze della vita. Abbiamo cercato un’eccellenza del mondo della ricerca e direi che abbiamo raggiunto il risultato sperato. Il fatto poi che il professor Rizzolatti abbia forti legami con il territorio, dove collabora con la Neurologia dell’ospedale Niguarda, è stato apprezzato come un valore aggiunto. Quanto alle motivazioni, noi speriamo che la scoperta del professor Rizzolatti sui neuroni specchio –ormai nota – possa portare a sviluppi importanti sul fronte delle cure di alcune patologie del sistema nervoso. Dunque sono molto contento di essere stato coinvolto in questa prima edizione del premio e spero che in futuro saprà valorizzare anche i nuovi contributi tecnologici che arrivano dalla fisica, a cui già si devono ad esempio strumenti con grandi applicazioni nel campo della salute come risonanza magnetica, tomografie, sensori”.

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