piero valentini

piero valentini

Pubblicato il 21/06/2018

Pubblicata il 21/06/2018 alle 18:07
Ultimo aggiornamento: 20/06/2019 alle 09:08
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Recentemente una libreria mi ha coinvolto nella presentazione della pluripremiata graphic novel di Roz Chast, grafica di punta del New Yorker. Si tratta di dell'ironico racconto autobiografico del proesso di invecchiamento dei suoi genitori, del loro e del suo modo di rapportarsi ad esso.

La copertina e il titolo originale la dicono lunga: “Can’t We Talk About Something More Pleasant?” dicono gli anziani genitori di Roz quando lei cerca di interagire con loro per capire meglio i loro nuovi bisogni.

In effetti a giudicare dall'approccio generale all'argomento invecchiamento, potrebbe proprio sembrare che la strategia di difesa più utilizzata sia la fuga. Notoriamente il welfare italiano si è appoggiato spesso alle famiglie, ma queste si sentono impreparate alla relazione con nuovi bisogni dei loro cari più anziani. Questi ultimi hanno spesso difficoltà e imbarazzo a tematizzare e comunicare le loro nuove necessità. Quando la non autosufficienza è innegabile le famiglie fanno ricorso a figure specializzate che badino alle necessità degli anziani ma che devono anche avere cura di non urtare la loro sensibilità. Ogni famiglia, nel delegare a una nuova figura al prossimità ai propri cari, si chiede se avrebbe potuto fare meglio. Rispetto a questo interrogativo sono pochi i riferimenti strutturati e organizzati. È senz'altro arrivato il tempo di metterli in rete in forma integrata e strutturata, per dare indicazione e sostegno alle famiglie ben prima della fase di non autosufficienza dei propri cari.

Senz'altro le strategie di active ageing in termini di prevenzione sono decisive ma è necessario mettere a fuoco diversi attori da “attivare” evitando di responsabilizzare il solo soggetto in fase di invecchiamento. Le famiglie sono uno di questi attori. E le comunità. In invecchiamento non sono solo i singoli ma le comunità. Anche statisticamente gli anziani over 65 non sono marginali rispetto al resto della società.

Soggetti aging e loro familiari sono coinvolti in un vero e proprio processo di apprendimento sul campo. Che finora avviene in modo troppo casuale e poco strutturato. Un percorso familiare (a volte addirittura solo individuale) e non di comunità.

Occorre integrare le conoscenze di associazioni di familiari in modo da farle giungere a chi è in cerca di orientamento. Chi è a conoscenza di associazioni di familiari e centri di cure primarie interessate a condividere le conoscenze relative alla relazione con l'invecchiamento?

Questo sarebbe il primo step. Il secondo, molto più innovativo, è quello di mettere in gioco conoscenze e competenze ulteriori in grado di rendere comunicabili tali conoscenze, in grado di rendere avvincente e stimolante il processo di apprendimento di famigliari e anziani attorno all'invecchiamento. Aiutando ad aggirare la tendenza di famigliari e anziani di pensare, fino a quando non possono più rimandarlo : “non possiamo parlare di qualcosa di più piacevole?”

Occuparsi di invecchiamento non è triste. In effetti è molto più triste non occuparsene.

Come mettere in campo una rete di soggetti eterogenei che sappiano vincere la sfida simbolica e paradossale direndere ludico l'apprendimento dell'active ageing? Come diceva George Bernard Shaw : “L'uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”. A questo punto una domanda in forma di provocazione ai nostri creativi: il genio italico è invecchiato?

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