piero valentini

piero valentini

Pubblicato il 21/05/2018

Pubblicata il 21/05/2018 alle 17:42
Ultimo aggiornamento: 15/03/2019 alle 08:18
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E' stato presentato la settimana scorsa alla Camera il ventiseiesimo rapporto annuale ISTAT.

Nei titoli a effetto dei media, ad assumere un ruolo di primo piano è il processo di invecchiamento del paese: “Ogni 100 giovani si contano 170 anziani”. “Da qui a dieci anni per 100 giovani in Italia ci saranno ben 217 anziani” in un paese che “dopo il Giappone è il più vecchio al mondo”.

Come ci stiamo regolando per gestire questo mutamento e il suo impatto sui diversi fronti che interesseranno la nostra vita? I nostri sistemi economici e sociali sono attrezzati per fronteggiare le diverse sfide che appaiono ad un orizzonte nemmeno tanto lontano? In che modo cambieranno le nostre abitudini e le tecnologie che usiamo?

Certo ultimamente il nostro paese non sembra brillare per capacità di programmazione di medio e lungo periodo eppure sarebbe opportuno raccogliere esperienze di ricerca e di innovazione che si sono occupate di questo tema in modo da poterne mettere a sistema i risultati. Ed evitare di continuare ad accogliere le notizie sui trend demografici (ben noti da almeno un ventennio) con un misto di stupore, angoscia e fatalismo.

Non è azzardato ipotizzare che nel guardare a questo tema molto probabilmente scontiamo un problema di ritardo culturale. Tendiamo cioè a categorizzarlo ancora come una questione residuale come se riguardasse una porzione marginale della popolazione mentre è evidente che la notizia sottolinea proprio l'accrescimento della quota della popolazione anagraficamente anziana; tendiamo a pensarlo poi come una notizia necessariamente triste e dunque da allontanare quando invece è ormai evidente che le cause principali di questa tendenza vanno ricercate, sì nella riduzione dei tassi di fertilità, ma anche nei successi che hanno condotto all’allungamento dell’aspettativa di vita media; inoltre tendiamo a pensare all'invecchiamento come un'anomalia italiana, quasi da nascondere con vergogna, quando sono anni che l'OCSE spiega che si tratta di un trend che riguarda tutti i paesi sviluppati.

A ben vedere dunque, smettere di rimandare l'investimento nel cercare e perfezionare soluzioni in questo campo ci potrebbe consentire non solo di migliorare la nostra vita e quella dei nostri cari, ma anche di disporre di buone pratiche in un campo che interessa fortemente il mondo intero e lo farà sempre di più.

Il tema è vasto, è vero, ma per fare la differenza probabilmente oltre a leggere gli impatti sui sistemi attuali occorrerebbe, anche a partire dai contributi OECD, mettere a fuoco come nell'invecchiamento si producono disuguaglianze e come prevenirle.

Ecco allora che il rapporto annuale presentato pochi giorni fa dall'ISTAT contiene alcuni spunti importanti dato che non solo elenca i dati demografici ma dedica un focus importante ai modi in cui le reti sociali influiscono sulla qualità della vita degli italiani. E' una pista importante per immaginare il cambiamento, ossia di smettere di subire l'ageing e iniziare a renderlo davvero attivo.

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